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THE WAY OF SUCCESS: intervista a Iacopo Antonelli

Per la rubrica THE WAY OF SUCCESS, incontriamo Iacopo Antonelli, ex studente di Rainbow Academy e oggi Technical Artist presso Rockstar Games.

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8 Aprile 2021

 

Per la rubrica THE WAY OF SUCCESS, incontriamo Iacopo Antonelli, ex studente di Rainbow Academy e oggi Technical Artist presso Rockstar Games.


Ciao Iacopo come stai?

Bene bene! Aspetta che metto la mascherina… ah non serve?

Iniziamo parlando un pochino del tuo percorso, la tua carriera è iniziata presto, ma sei sempre stato mosso da una massima convinzione, la tua è una storia molto particolare, ci racconti da cosa è nato l’amore per la computer grafica e per i videogames?

Certo! Dunque, da che ricordo ho sempre amato i videogiochi.
Ho cominciato a giocare a 5 anni con il Game Gear, avevo solo il gioco di Sonic, ma era semplicemente pazzesco.

Poi a 6 anni ho avuto una Playstation in regalo. E vai di Metal Gear Solid, Final Fantasy e altri titoli che non serve citare. Per me erano mondi incredibili, capolavori d’arte.

Qualche anno dopo mia madre comprò una strana scatola grigia con una tastiera e un mouse: è stato amore a prima vista, come l’amore di mia madre per le bollette del telefono che arrivarono poi…

Il primo gioco a cui giocai su PC fu Heart of Darkness, che ricordi.

Ho cominciato a frequentare vari forum dove si parlava di videogiochi, qualcuno un giorno disse qualcosa come “ci serve un grafico” e io dissi d’impulso “lo faccio io”: (non sapevo nemmeno cosa fosse Photoshop a 11 anni, ma la parola grafico mi ispirava).

Da lí è cominciato tutto: web design, scripting, una cosa tira l’altra e al liceo mi sono ritrovato a studiare programmazione, a casa i software Adobe, poi a 17 anni ho scoperto UDK (Unreal Development Kit).

É stato un miraggio scoprire cosa potesse fare quel software.
Mi comprai un tomo da 1000 pagine su come usare UDK, poi Maya, ZBrush.. tutto ciò che era necessario imparare per fare un prototipo.

A un certo punto ho notato che la cosa che mi attirava di più in questi software era ottenere più di quello che la base offrisse, lavorando di scripting. Non ho mai preso una vera direzione, ho sempre oscillato tra la matematica e l’arte, mescolandole come potevo. Devo ammettere che questo mi causò non pochi problemi all’inizio, ma si è rivelato un punto di forza in futuro!

Quando ero bambino i videogiochi sono stati un rifugio sicuro in molte occasioni, e questo mi ha spinto a volerli creare per le generazioni future. Moltissime persone trovano conforto nelle avventure che creiamo, quello nelle mani degli sviluppatori non è assolutamente un potere da sottovalutare, sia negli effetti positivi che, ovviamente, quelli negativi.

 

 

Sei stato per tanto tempo uno dei punti di riferimento artistici e tecnici di Indiegala, la società che poi ha dato la possibilità anche a tanti studenti di Rainbow Academy di concretizzare il loro sogno. Cosa puoi raccontarci di questa esperienza?

Lavorare per Indiegala è stato pazzesco, ripensandoci oggi.
Alti e bassi, ovviamente, come in ogni azienda, ma è principalmente grazie a quell’esperienza che sono arrivato qui.

Mi ha dato l’opportunitá di lavorare a due progetti incredibili e con persone incredibili. Il primo è stato Blockstorm, sviluppato con il team romano Ghostshark dal 2013, poi è arrivato Die Young con il team interno di Indiegala, credo di non sbagliare a definirlo il primo Open World tutto italiano realizzato in Unreal Engine 4. L’ambiente è sempre stato molto stimolante, tutte le persone con cui ho lavorato avevano una profonda passione per i videogiochi e c’era una cura del dettaglio non indifferente.

Non voglio far sembrare tutto rose e fiori comunque, lavorare ad un Open World di quel calibro con un team di solo 10 persone è stata un’impresa, ma allo stesso tempo è incredibilmente stimolante trovarsi in così pochi a dover affrontare un simile gigante. Su internet non c’era il supporto di UE4 che c’è ora, dunque quasi ogni problema relativo all’engine non aveva una soluzione a portata di mano, e questo ha portato tutti noi a dover lavorare parecchio di problem solving. Consiglierei a chiunque di cominciare da una società indie, per due motivi principalmente. Il primo è che le società indie offrono esperienze che le società tripla A a volte non offrono (e viceversa, ovviamente). Il secondo è che non sai qual è l’ambiente giusto per te, a volte l’indie e il tripla A possono essere molto diversi.

Comunque se parlo di Indiegala non posso non citare due miei ex colleghi e ex studenti Rainbox che hanno lavorato con me a Die Young: il mitico Paolo Pallucchi e “l’irreprensibile” Claudio Rapuano!

 


Al momento lavori per una delle aziende più importanti al mondo nel settore videoludico. Hai avuto inoltre un’altra esperienza fantastica in una super società come Ubisoft. Da una realtà indie a delle società così grandi e strutturate: sei stato catapultato in realtà completamente diverse, ma hai avuto forza e determinazione. Come è stato il passaggio?

Giá! Ad esser sinceri il passaggio non é stato così traumatico.
Certo, ti trovi a cambiare da un team di 10 persone a uno di 600, è un cambio di scenario pazzesco e devi cambiare il modo in cui lavori, se non hai attitudine a lavorare in un team non vai lontano. L’ego va lasciato a casa.

Ad ogni modo, è stato incredibile scoprire quanto le cose in realtá non siano cosí profondamente diverse a livello di team. Anche trovandosi in un team di 600 persone, a seconda del ruolo ci si trova in genere a lavorare a stretto contatto con piú o meno 50/60 di queste, che non sono numeri cosí diversi da una realtá indie, a parte che il progetto (per ovvie ragioni) lo senti un po’ meno “tuo”. Ti ritrovi a non poter più prendere decisioni semplicemente chiedendo ai tuoi colleghi vicini, ci sono gerarchie completamente diverse e molto ramificate, e ci vuole un po’ per capire a chi chiedere: mi ricordo una volta di essere stato rimbalzato circa 5/6 volte prima di arrivare alla persona con cui dovevo parlare.

Ricoprendo il ruolo di Technical Artist mi sono ritrovato a lavorare continuamente piú o meno con piú o meno 100 persone nel core team, e sporadicamente con altre 200, sparse anche in altri studi.

A un certo punto devi ricordarti cosa fa ognuna di queste, informarla se fai dei cambiamenti sostanziali al suo lavoro e così via. Il trucco per non impazzire? Come dice Bruce Lee: sii acqua 😉

 

Il tuo ruolo è molto particolare, ti andrebbe di spiegarci meglio di cosa si occupa un Technical Artist?

Certamente!

In sintesi: cosa dá piú soddisfazione di portare il sorriso sul volto di un artista/animatore/designer/programmatore in difficoltá?

A parte gli scherzi, il ruolo di Technical Artist varia da societá a societá e non è proprio sempre bianco o nero.

Di solito un Technical Artist esce fuori da chi ha un mix di esperienze e ha la passione a mettere le mani in diversi settori, come detto prima io ho sempre avuto una passione sia per la grafica che per la tecnica e la matematica.

La mia prima esperienza fu già un ruolo abbastanza strano, lavorai a questo prototipo con Unity e Maya per Crisma (una società romana) che doveva essere utilizzato per visitare la fiera RHO di Milano virtualmente.

Già lì mi occupavo sia del codice che dell’arte, generando l’ambiente in maniera procedurale su Unity tramite delle coordinate fornite in XML.

Dopo Crisma arrivò Indiegala, lavorai come come C# Programmer su Blockstorm utilizzando Unity 3D, principalmente mi occupai della UI di gioco, sempre grafica e codice. Il mio approccio con gli shaders è cominciato in Unity, ma si è sviluppato in Unreal Engine 4.

Mi affascinava molto il Material Editor a nodi, ed è stato molto più facile per me comprendere come tutto funzionasse potendo sempre guardare un’anteprima, sia del risultato finale che di ogni nodo.
Su Die Young ho lavorato a shaders, scripts ed environments (creazione e ottimizzazione) ed é stato come un calcio di partenza.

Di solito un TA non crea environments, ma io lavoravo a Indiegala come Environment Artist, sono diventato il TA dello studio più per necessità generale e inerzia. In Ubisoft (The Division 2) mi sono trovato a lavorare principalmente sulla grafica delle missioni principali: creazione di shaders “esotici”, ottimizzazione e profiling, decisioni tecniche sulla creazione del mondo/missioni, scripting per generazioni procedurali o per analisi tecniche, creazione di elementi di gioco interattivi e problem solving su qualsiasi cosa capitasse da risolvere.

A Rockstar mi occupo praticamente di tutt’altro, lavorando principalmente nell’ambito di sviluppo di tools per il settore di animazione e audio.
É un po’ difficile definire precisamente cosa sia un Technical Artist, ma posso tranquillamente dirvi che si comincia dallo scripting, dagli shader e dal problem solving. I TA sono i jolly dello studio e sono in grado di lavorare in diversi reparti, di fatto sono la colla che tiene uniti tutti i reparti dello studio.

Se vuoi puoi specializzarti, di solito si sceglie tra shading, scripting o animazione, ma spesso questi tre elementi si fondono. Mi ricordo quando una volta, in una delle mie prime esperienze di lavoro in Italia, qualcuno mi disse “non puoi essere un grafico e un programmatore, devi scegliere”: beh, non era vero, per fortuna.

Il Technical Artist è una persona che ha una propensione sia per il lato tecnico che per quello artistico (piú per quello tecnico). Io non ho mai brillato come artista, ma quello che realizza un Technical Artist permette all’artista di portare il risultato molto piú in alto. L’immagine di seguito illustra quali figure si rapportano con un TA e in che settori di solito opera:

 


Qual è secondo te la difficoltà che riscontra più frequentemente un Technical Artist e le differenze principali, se ce ne sono, con gli altri reparti?

Un Technical Artist riceve domande tecniche da ogni reparto: animazione, arte, design, programmazione… la maggior parte delle volte relative a un problema tecnico da risolvere.

Il TA è la figura che in uno studio di videogiochi ha una visione chiara e cristallina di come ogni cosa funzioni e di come mettere insieme i pezzi, sia per risolvere problemi sia per creare nuove tecnologie e alzare la qualità grafica del prodotto.

Esempio banale: 3 mesi alla consegna del gioco, ci si rende conto che la memoria non basta perché sono state posizionate troppe mesh / textures nel gioco. Se siete fortunati, un TA avrá giá scritto un sistema di analisi del mondo di gioco per conto suo mesi prima, e il lavoro di scrematura richiederá un paio di settimane, magari anche in maniera automatica.

Come dicevo prima, il ruolo cambia leggermente di societá in societá e di conseguenza le difficoltá variano. In Ubisoft per esempio, i Technical Artist hanno in parte potere decisionale su cosa entra in gioco a livello grafico e il problema principale in quel caso è anche reggere la pressione di un intero Art Team quando arriva il momento di dire “No, questo non si puó fare o la console esplode”, prendendosi occhiatacce e pomodori.

Il Technical Artist é anche questo.

A tuo parere un Technical Artist quali caratteristiche e skill deve avere, a livello artistico e tecnico?

A livello artistico credo che debba avere un buon occhio per ció che è bello.

A livello tecnico è tutta un’altra storia. Se lavora negli shader, deve avere conoscenze matematiche necessarie da poter implementare equazioni a volte anche molto complesse, o sapere come funziona una GPU anche in relazione agli altri elementi di un sistema.

Se lavori nell’animazione, avrai altre conoscenze tecniche, principalmente di scripting e di animazione, ma comunque alla fine si arriva sempre alla matematica, è inevitabile.

Un’altra skill che un TA deve assolutamente avere è il problem solving, saper scomporre un problema gigantesco in tanti piccoli problemi e arrivare a una soluzione passo dopo passo.

 

 


Ormai hai una visione abbastanza ampia dell’industria videogames, quali sono a tuo parere le difficoltà più importanti e le differenze tra le aziende italiane con quelle internazionali nel settore? Pensi che in Italia ci sia realmente prospettiva di crescita?

In Italia c’è decisamente una crescita a livello di societá, ne nascono di nuove e quelle esistenti crescono sempre di più.

Quando ho cominciato io, nel 2012/2013, non c’era una singola proposta di lavoro nei videogiochi a Roma, oggi è diverso, ci sono piú realtá, più offerte.

Di certo la prospettiva di crescita è molto diversa per qualcuno che lavora in un team indie rispetto a qualcuno che lavora in un team piú grande all’estero.

Una delle principali differenze che ho notato tra le aziende italiane e quelle estere è che in Italia si tende ad assumere un ninja che faccia il lavoro di 10 persone, piuttosto che assumerne 10.

Non è una logica che condanno, credo che faccia inevitabilmente parte dello sviluppo di un settore e che cambierá: anzi, sta giá cambiando.

 

Quali sono gli ultimi progetti a cui hai lavorato e quali i futuri se si possono citare?

Negli ultimi due anni ho lavorato a vari progetti VR come freelance, The Division 2 per Ubisoft e un pizzico di Red Dead Redemption 2 versione PC per Rockstar.

Il resto si scoprirá!

Quale è stato il progetto a cui sei più legato e che ti ha portato maggiori soddisfazioni?

Sono combattuto tra Die Young e The Division 2, ma sceglierò il secondo.

Il motivo è che sono molto orgoglioso del fatto che una scena a cui ho dedicato anima e cuore è anche stata mostrata sul palco dell’E3 2019!

Realizzare quell’acquario ha richiesto quasi tre mesi, incluso tutto il lavoro che ho svolto con gli animatori e gli artisti per ottenere il risultato finale.
Ho ancora il quaderno con i disegni e le equazioni!

 

Se dovessi dare un consiglio ai ragazzi che vorrebbero avvicinarsi alla professione, cosa consiglieresti e, a tuo parere, quali sono gli errori più comuni per chi si approccia all’industria per la prima volta?

Fate scorta di umiltá e senso del sacrificio a pacchi! Tutti possono insegnarvi qualcosa, dovete cominciare pensando che voi non sapete nulla.

Anche dopo anni nell’industria si continua ad imparare.
La maggior parte delle società premia l’errore e condanna la saccenza.
Io stesso ho fatto questo errore.

Quando ho cominciato pensavo di saperle tutte, ma piú imparavo e piú mi rendevo conto di non sapere nulla, e questo mi ha permesso di imparare ancora di piú. Sono stato anche fortunato a lavorare con persone veramente forti.

Ti ringraziamo tantissimo per il tuo tempo e la tua disponibilità

Grazie a voi! Mi ha fatto molto piacere 🙂